Le Puma Bisenzio Rugby

Rugby femminile, scuole e reclutamento: una battaglia ancora da vincere. Intervista a Luca Cinquini, preparatore atletico de Le Puma.

Si parla molto in questo periodo della necessità di far crescere il numero delle ragazze che si avvicinano al rugby, soprattutto per quanto riguarda la fascia d’età più problematica ovvero U14/U16. Prima dell'avvento della pandemia Inghilterra, Irlanda e Scozia stavano mettendo in atto una serie di progetti utilizzando le giocatrici della nazionale che hanno sotto contratto per veicolare sul territorio le iniziative predisposte. Inutile girarci intorno, in questi paesi, ai quali va aggiunta la Francia, sono stati fatti consistenti investimenti economici e questo specialmente in Inghilterra e Scozia ha dato ottimi risultati.
In Italia si parla spesso della necessità di lavorare di più e meglio nelle scuole per reclutare nuove ragazze, ma chi lo fa ci racconta che questa è una strada lunga e molto complicata ed è lungi dall’essere la risposta universale al problema della crescita.
Noi abbiamo voluto intervistare una di queste persone, Luca Cinquini, che da quest’anno lavora per il Rugby Union Versilia di Pietrasanta (LU) ed è il preparatore atletico de Le Puma Bisenzio. Tra le varie cose di cui si occupa c’è proprio quella del reclutamento di nuove giocatrici per incrementare il numero delle giocatrici della società versiliese. Luca ci ha raccontato brevemente in cosa consiste il suo lavoro, rispondendo ad alcune nostre domande e quali sono le difficoltà con le quali si scontra più spesso. Un punto di vista estremamente interessante.

1. Ciao Luca, puoi presentarti? Chi sei e cosa fai nel mondo del rugby femminile.
Ciao a tutti, io sono un laureando alla facoltà di Scienze Motorie di Firenze e quest'anno ho deciso di cimentarmi oltre che nel ruolo di allenatore collaborando delle ragazze Rugby Union Versilia anche come preparatore atletico de Le Puma Bisenzio, squadra che milita nel campionato di Serie A femminile. Per il Rugby Versilia mi occupo della preparazione atletica delle squadre maschili. Supporto anche il resto dello staff per quanto riguarda la parte tecnica dell'allenamento e mi occupo, insieme ad altri tecnici ed educatori, del reclutamento (principalmente quello che riguarda le ragazze) lavorando in diversi plessi scolastici presenti sul territorio.

2. Si parla molto di numeri nel mondo del rugby al femminile e si sente spesso dire che l'unico modo di portare nuove giocatrici sul campo consista nel lavorare costantemente nelle scuole. Secondo te è il metodo giusto? Funziona? Ci sono indirizzi o fasce d'età per cui questo tipo di intervento funziona meglio?
Prima che il rugby si fermasse a causa dell'emergenza Covid, ho lavorato con molte scuole durante l'orario accademico nelle lezioni di educazione fisica. Le ragazze si sono sempre divertite e molte sembravano entusiaste di questo sport che nella mia zona è ancora sconosciuto ai più, però purtroppo in pochissimi casi questo entusiasmo ha portato le ragazze sul campo da rugby. Il problema principale, secondo me, è che con questo metodo i genitori non hanno alcun contatto con questa disciplina e con il nostro staff tecnico, sia per farsi un idea della tipologia di lavoro che svolgiamo sul campo, sia per avere risposte immediate su i molti interrogativi che questo sport, ancora poco conosciuto, può sollevare. Alla fine è sempre il genitore ad avere l'ultima parola sull'attività fisica più adatta alla propria figlia. Le fasce di età in cui funziona meglio sono sicuramente le più basse, più piccoli sono meglio è, anche per il loro percorso di formazione da giocatrici di rugby.

3. Quali sono i problemi più grandi che devi superare quando porti il rugby nelle scuole?
Il problema più grande che ho incontrato è stato proprio quello di riuscire ad entrare nelle scuole. Proporre uno sport di contatto crea sempre molte perplessità, specialmente se gli insegnanti o i presidi non conoscono minimamente questa disciplina. Una volta dentro, se riesci ad organizzare bene il lavoro, usando una metodologia adeguata ai vari gruppi di ragazze che ti trovi davanti il lavoro si svolge senza grossi problemi. Certo è che il passaggio dalla scuola al campo è sempre quello più delicato.

4. Perchè è così difficile trovare e portare nuove giocatrici sul campo?
Per quello che ho potuto vedere, il grosso problema è certamente culturale, il rugby è ancora troppo spesso visto come uno sport prettamente maschile. Nello specifico nella nostra zona è anche un problema di conoscenza del gioco: qui il rugby è ancora praticamente sconosciuto. L’idea che possa essere un gioco anche per le ragazze in pratica non esiste.

5. Difficile portare le ragazze sul campo, ma quelle che arrivano poi rimangono? Quanto è alto il tasso di abbandono? Secondo te quali sono i motivi reali?
In generale, il motivo principale di abbandono credo sia dovuto al numero molto basso di ragazze che praticano questo sport soprattutto a livello giovanile. In Toscana ci saranno una ventina di ragazze U16, ma sono sparse tra le varie società e faticano ad allenarsi assieme. Nel nostro caso le ragazze si allenano con i ragazzi che, guidati dal nostro staff, hanno creato un ambiente di lavoro sereno e produttivo sia per la maschile sia per la femminile. Ma in quelle realtà dove questo lavoro non è possibile a causa di innumerevoli fattori, riuscire a mantenere le ragazze sul campo con numeri così bassi diventa veramente difficile.

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